Definizione ed evoluzione del nostro concetto di Moda
Nella vita di tutti i giorni il termine moda ricorre abitualmente nei nostri discorsi e ognuno di noi può constatare quanto questo concetto sia in grado di permeare in modo più o meno consapevole la nostra esistenza.
La moda rappresenta infatti un fenomeno non soltanto psicologico e culturale, ma anche e soprattutto storico ed economico-sociale, poiché riguarda tutti gli individui nel momento in cui, fin dai tempi più antichi, essi manifestano il bisogno di coprire il proprio corpo per presentarsi al mondo esterno e vivere in società.
Varie testimonianze nel corso della storia dimostrano quanto l’evoluzione della moda nell’abbigliamento sia strettamente connessa alla storia dell’umanità: basti pensare alla funzione fondamentale che l’abbigliamento assumeva nel veicolare il messaggio di appartenenza ad un preciso status sociale.
Il termine moda, inteso come foggia corrente nel vestire, come modo collettivo di vestirsi, è la diretta traduzione del francese mode, vocabolo apparso per la prima volta, secondo gli studiosi transalpini Bailleux-Remaury, nel 1482 al posto di manière e façon, per indicare uno specifico tipo di abbigliamento.
Sebbene non si possa affermare l’esistenza di una definizione univoca del termine, legato comunque ad un’interpretazione soggettiva, due definizioni comunemente accettate nella lingua Italiana vengono fornite rispettivamente dal Grande Dizionario Garzanti, secondo il quale moda è “l’usanza più o meno mutevole che, diventando gusto prevalente, si impone nelle abitudini, nei modi di vivere, nelle forme del vestire” e dal DizionarioDevoto-Oli, che definisce moda “un principio universale, uno degli elementi della civiltà e del costume sociale, che interessa non solo il corpo ma anche tutti i mezzi di espressione di cui l’uomo dispone”.
Dall’insieme di questi significati si deduce che il gusto, benché espressione di un orientamento individuale, deve comunque confrontarsi con un sistema di regolamentazione sociale che definisce ciò che in ogni periodo e luogo può essere considerato “di moda”.
A livello etimologico non deve quindi sorprendere che ci sia una sovrapposizione tra i termini moda e moderno, a sottolineare la dimensione evolutiva e istituzionale del gusto.
Oggi il termine moda, essendosi arricchito di significati nel corso del tempo, può essere inteso su tre livelli differenti, ma complementari:
Moda come industria e commercio dell’abbigliamento, quindi come settore produttivo e distributivo;
Moda come coscienza collettiva, come gusto della collettività, cioè come meccanismo sociale transitorio che fissa dei canoni e degli obblighi, passando attraverso la soggettività dell’opinione pubblica e comune;
Moda come inquietudine, come espressione di dinamicità, come elemento di variabilità e di mutamento che si lega intrinsecamente al concetto di cambiamento.
In sintesi, la moda ha in sé una sorta di apparente contrapposizione, in quanto è
“consuetudine ma non tradizione, regola ma non disciplina, seguire un modello ma non
sceglierlo”- Gerardo Ragone, F.Forte. , “Il fenomeno della moda ed i suoi riflessi sulle attività aziendali” (1988).
Ciò che sembra mettere tutti d’accordo è che la moda rappresenta un elemento che consente a settori considerati maturi di ritrovare nuove dinamicità e redditività a partire dallo stimolo continuo che offre all’allargamento e al rinnovamento della domanda.
Nel linguaggio comune un fenomeno, che si tratti di prodotto, servizio o comportamento sociale, viene considerato di moda se nel momento in cui se ne parla ha raggiunto un diffuso apprezzamento da parte di un determinato pubblico e in un determinato contesto geografico o socio-culturale.
E’ evidente come tutto ciò che è legato alle emozioni possa essere influenzato dalla moda ed è per questo che gli acquisti da parte del consumatore sono sempre più emotivi e meno consapevoli, promossi da un battage pubblicitario che riesca ad incidere sulle scelte di quest’ultimo in maniera quasi inconscia.
Fino ad ora, comunque, in nessun altro campo delle attività umane l’esercizio sistemico del cambiamento del prodotto è stato istituzionalizzato come in quello dell’abbigliamento, degli accessori e delle calzature, a dimostrazione del fatto che l’abito riproduce l’espressione di un’evoluzione culturale nei costumi, nel contesto sociale e negli stili di vita.
In passato il concetto di moda era associato solamente all’abbigliamento, mentre negli ultimi decenni si è diffuso a segmenti di consumo sempre più vasti, interessando il mondo della pelletteria e delle calzature, quello della cosmetica come dell’arredamento, arrivando a comprendere persino estensioni legate al turismo (si pensi alle località di villeggiatura) o all’adozione di animali domestici.
Inizialmente, la nascita della moda risale alla Francia del regno di Luigi XIV, con la costituzione del mercato dei tessili: luogo privilegiato di competizione e seduzione, la corte reale sarà per lungo tempo il centro principale della nascita e della diffusione di nuovi modelli, fino all’epoca della Rivoluzione Francese.
Durante questo periodo storico, l’emergente industria della moda conobbe un’interruzione nella sua ascesa per poi riprendere impulso grazie all’opera di un noto sarto inglese, Charles Frederick Worth, il quale, trasferitosi a Parigi a partire dal 1894 venne definito “l’inventore dell’alta moda”.
La proposta di Worth era decisamente nuova e sconvolgeva i vecchi schemi, in quanto egli presentò per la prima volta una collezione di vestiti che fu indossata da modelli in carne ed ossa per l’esposizione ai clienti: fu la prima sfilata di moda.
Con questa intuizione, Worth aveva compreso come l’idea o concetto che sta alla base della moda fosse qualcosa di estremamente importante: attraverso la sfilata non si vende il vestito, bensì un “sogno realizzabile”, evocato dal modello che lo indossa con un’eleganza ed un portamento che diventano suggestivi per il cliente.
Fu così che il “padre della moda francese” guadagnò in breve tempo una fama a livello internazionale e contribuì in modo sempre più decisivo a rivoluzionare le abitudini del vestire introducendo la specializzazione professionale nel campo della moda.
Proponendo modelli già da lui realizzati, Worth finì con l’orientare le scelte dei clienti, arrivando a ritmare il ciclo delle mode e creando addirittura il concetto di stagionalità.
La moda trovò finalmente un proprio slancio in quanto sarti, stilisti, collezioni, sfilate, rassegne, showroom erano divenuti punti fondamentali per il suo sviluppo e la couture stava preparando l’avvento della haute couture.
Nel volgere di un secolo la moda francese seppe imporre i propri modelli in tutto il mondo, con ambasciatori di spicco quali Paul Poiret, Jeanne Lanvin, Coco Chanel, Madeleine Vionnet. Grazie alle loro iniziative, il sarto diventa un “artista del quotidiano”.
Nel frattempo, a partire dal 1700 nel nord Europa, in Svizzera ed in Inghilterra, lo sviluppo dell’industria tessile, ed in particolare di quella cotoniera, cominciò ad avvantaggiarsi della comparsa di nuovi mezzi di produzione: macchine come la filatrice meccanica, il telaio a maglia, il telaio Jacquard e le prime stamperie rivoluzionarono nell’arco di qualche decennio i metodi di lavoro tradizionali: si può affermare che in qualche modo la rivoluzione industriale spianò il cammino alla moda moderna.
La produzione e il commercio di abbigliamento si divisero allora in quattro settori principali: confezionisti e sarti per la realizzazione di sopra; le cucitrici per la biancheriaintima; le modiste, o i mercanti di moda, per il commercio e la confezione degli accessori e delle guarnizioni.
Tale Rivoluzione, rendendo accessibile la moda anche alla classe media, contribuì in modo sensibile ad allargare quell’offerta che, per tanto tempo, era stata ad appannaggio esclusivo di pochi privilegiati.
Ciò sancì l’inizio della democratizzazione della moda: sostituendo il lavoro manuale del sarto con quello della macchina da cucire, il processo di confezionamento risultava più snello, arrivando a produrre più capi contemporaneamente.
Con l’avvento della macchina da cucire si rese necessario anche il supporto della modellistica di carta per il confezionamento dell’abito, ad opera di Ellen e William Demorest (Philadelphia, 1850) :la macchina da cucire applicata industrialmente sancì la nascita del Prêt à – Porter.
Intanto si diffusero anche nuove modalità di distribuzione dell’abbigliamento: nelle gallerie (si pensi al Palais Royal di Paris) apparvero per la prima volta intorno al 1780 i primi negozi di abbigliamento, poi i grandi magazzini. Inoltre, la prima stampa di settore (“Le journal del Dame set des Modes”, 1797) permise una rapida e migliore diffusione dei modelli lanciati dalle signore del bel mondo, che vennero quindi ripresi dai sarti di provincia e all’estero.
Tuttavia l’alta moda tra il 1800 e il 1900 restava appannaggio esclusivo della classe agiata e la piccola borghesia si vestiva su misura ricorrendo a sarti che riproducevano i modelli parigini.
I primi significativi passi del Prêt-à-Porter rislagono al 1863, allorchè Ebezener Butterick, fondatore della Butterick Pattern Company, instaurò il sistema di produrre modelli in serie e in misure diverse: non è un caso che proprio in questo periodo i couturiers francesi si allinearono e unirono sindacalmente a formare la Chambre Syndacale de la Couture Parisienne per difendersi dalle massicce scorrettezze in termini di imitazioni di prodotto.
Appare evidente come la moda in questa fase storica e a partire da essa, risulti legata indissolubilmente all’industria: mantenendo pur sempre caratterizzazioni sartoriali, si arrivava pian piano alla produzione di massa, alla robotizzazione, all’informatizzazione.
Già dagli anni ’50 il prêt-à-porter sembra essere destinato ad inserirsi autoritariamente nel circuito dell’offerta del prodotto moda e quindi a dettare le nuove regole riducendo il potere della couture.
Dopo la seconda guerra mondiale si ebbe la rottura di quel sistema basato sul dualismo tra alta moda, destinata esclusivamente alla classe benestante, e moda pronta,a prezzi accessibili, prodotta su larga scala, destinata alla classe medio – borghese.
Ancora oggi con il termine prêt-à-porter, egualmente definito ready-to-wear, si definiscono le collezioni prodotte industrialmente, ma distinte dalle semplici confezioni per la creatività delle loro forme e la firma che ne fa un prodotto di immagine elevata.
Gli anni ’50 sono l’età d’oro, in cui grandi firme prestigiose dell’alta moda convivono con gli esordi del cosiddetto new look.
Le innovazioni tecnologiche, il perfezionamento della macchina da cucire, l’automazione, l’utilizzo del computer, la cucitura laser rivoluzionano la produzione della confezione sartoriale su misura a favore della produzione di massa.
A partire dagli anni Sessanta, gli stilisti cominciarono ad offrire al mercato modelli che si potevano produrre in serie ed a prezzi accettabili, nonché a rivolgersi contemporaneamente ad un pubblico più giovane che fino a quel momento, per ragioni prettamente economiche, era stato escluso dall’alta moda; inoltre, la stampa specializzata mise in modo un sistema comunicativo tale da assicurarne l’affermazione.
L’alta moda diventò quindi democratica grazie al sistema di licenze che permetteva di usare la firma su bigiotteria, accessori, calze e scarpe.
A partire da questo periodo il prêt-à-porter comincia a svilupparsi su due filoni, entrambi di grande importanza: quello griffato degli stilisti (Dior, Armani, etc.) e quello prodotto a livello industriale con marchi aziendali: tra i vari, Max Mara, Fiorucci e Benetton.
Le generazioni successive hanno arricchito il gioco della moda senza cambiarne in modo sostanziale le regole.
Negli anni Settanta apparvero i “creatori di moda”, come Kenzo, i quali intendevano difendere una forte creatività, senza concessioni, prodotta e diffusa grazie alle tecnologie del prêt-à-porter.
Con gli anni Ottanta avviene una decisa globalizzazione del mercato, dei consumi e dei prodotti.
In questi anni si assiste all’affermazione di marchi con prodotti ben definiti, come nel caso di Benetton, ed alla comparsa di una seconda generazione di stilisti e creatori d’alta moda che si è venuta a giustapporre alla prima: in Italia Armani, Versace, Trussardi, Missoni, Krizia, ecc.;in Francia Dior, Cardin, Lacroix, Lagerfeld, etc.; negli USA Calvin Klein, Ralph Lauren, etc.;in Giappone Kenzo Takada, Issey Myake, etc.
Oggi, come ieri, sempre nuove firme si affermano ogni anno nella corsa alla creazione di nuovi modelli e alcune città si contendono addirittura il primato di “capitali della moda”: Parigi per l’haute couture, Milano per il prêt-à-porter, Firenze per la moda uomo, Londra per lo streetwear, New York per lo sportswear ed il casual. Rinnovandosi incessantemente, la moda si arricchisce di citazioni incrociate: un vestito elegante con un tessuto sportivo, un abito maschile con una stoffa femminile (ad esempio, abiti in raso di seta per uomo), una calzature confezionata con materiali di lusso o un particolare tecnologico in un abito da sera.
La moda si trova poi a giocare con linee e lunghezze, colori e nuove forme e contenuti.
A causa della velocità con cui i trend si susseguono ad un ritmo sempre più serrato, l’essere alla moda è un concetto che perde valore perché ci si trova di fronte alla coesistenza di una molteplicità di mode: mode “istituzionali” e mode “di strada” si rincorrono e arricchiscono
vicendevolmente, tanto che ispirandosi a questo insieme variegato di proposte, immagini e modelli, oggi ogni individuo può essere libero di comporre e manipolare la propria immagine identificativa, all’interno di un sistema ben più vasto che regola il modo collettivo di vestire.
Oggi la moda si trova quindi a fare i conti con la maggiore consapevolezza e autonomia di giudizio del consumatore, il quale sempre più tende a costruirsi un proprio stile.
Da moda a stile esiste un vero e proprio passaggio concettuale: lo stile personale rappresenta la manifestazione di un’identità individuale che in quanto tale può essere trasversale alla mode; può cioè liberamente attraversare proposte di moda diverse, prendendo da ciascuna ciò che serve a definire un risultato del tutto personale. Questa accezione di stile riflette quindi la necessità emotiva e culturale di non subire passivamente la moda, pur senza rinunciare alle opportunità che essa offre.
Evidentemente, lo stile è legato fortemente ad una consapevolezza di sé, dei propri valori, del proprio modo di essere e di comunicare con gli altri, dell’appartenenza a specifici cluster socio-culturali, se non addirittura a delle tribù.
Tale evoluzione del consumatore si riflette anche nelle aziende della moda, che sempre più si orientano ad una specializzazione per target e stile, all’interno della quale cercano di realizzare una evoluzione continua in chiave moda.
Questo brevissimo excursus storico ci permette di comprendere come oggi le aziende che operano nel settore moda si trovino a competere in un ambiente in continua evoluzione, poiché sono cambiati equilibri politici e geografici che hanno portato nuovi paesi in concorrenza e aperture di nuovi mercati; inoltre, da un punto di vista tecnologico stiamo assistendo ad una costante rivoluzione che comprime i tempi di risposta da parte delle aziende verso il cliente e richiede una manodopera sempre più istruita e specializzata.
In questo complesso scenario, il cliente diventa il vero dominatore: sempre più esigente, pronto ad acquistare altrove, privilegiando i prodotti più innovativi ed affidabili e con un miglior rapporto qualità/prezzo.
Si assiste costantemente ad una drastica riduzione del ciclo di vita media dei prodotti e ad una continua esigenza da parte delle aziende di dover ottimizzare il più possibile lo sfruttamento delle risorse ed innovarsi continuamente per poter restare nel mercato.
Da questa descrizione emerge che la capacità di sopravvivenza e crescita dell’impresa è connessa sempre più all’abilità di saper fare meglio il proprio lavoro, attuando miglioramenti continui attraverso:
• La creazione di maggiori motivazioni e stimoli per le risorse umane, anche mediante l’accrescimento e la gratificazione delle loro capacità professionali;
• L’impostazione di progetti di miglioramento continuo delle singole attività, anche mediante il confronto con attività analoghe svolte all’interno della singola azienda o con aziende esterne (benchmarking);
• La focalizzazione dell’attenzione su alcune attività strategiche per l’impresa e sulle determinanti di costo, lavorando prioritariamente per l’ottimizzazione di queste;
• L’evidenziazione delle attività che non creano valore aggiunto per il cliente finale per consentirne, gradualmente, la riduzione o la completa eliminazione.
Le imprese, pertanto, in questo nuovo contesto di globalizzazione e di cambiamento, devono focalizzarsi su variabili chiave come il mercato, la clientela, i concorrenti e la tecnologia, effettuando le opportune analisi in merito.
Si comprende dunque come la conoscenza del significato della moda, del perché e del come si crei, si riesca a diffondere e si esaurisca, rappresenti uno degli aspetti centrali nella comprensione delle logiche e dei processi di management delle aziende competitive.